Consiglio Regionale elettivo 25-26 marzo 2017

10°G³+I³ = Bella storia! La tappa associativa che ci apprestiamo a vivere per i cammini assembleari è un tempo di: GRAZIA, GIOIA e GRATUITA’. GRAZIA, perchè nell’appartenenza alla comunità ecclesiale (a tutti i livelli), l’associazione suscita in chiave vocazionale i LAICI ad assumere in modo responsabile e corresponsabile un impegno per l’Azione Cattolica locale, a favore dei ragazzi, giovani, adulti e famiglie. GIOIA, perchè ogni cammino assembleare è una festa di comunità, in cui laici e sacerdoti riscoprono il valore del proprio impegno assunto, verificandolo e rilanciandolo per una vita associativa-ecclesiale rinnovata alla luce del Vangelo e in occasione della “Bella storia” associativa. GRATUITA’, perchè ogni servizio, impegno e responsabilità che i soci dell’Ac assumono, viene svolto nello stile semplice e senza la logica del “contraccambio” , così come il Maestro Gesù indica ai propri discepoli. E allora, veramente lo stile e la testimonianza del Responsabile ad ogni livello, sia: IRRADIANTE, INTERCETTANTE, INCISIVA. “Bella storia”… no?! Qui di seguito trovate tutto il materiale da scaricare utile per il consiglio ACR_Scheda iscriz Assemblea elett 25-26 marzo Info e indicazioni spostamenti Pass Auto Cons Reg 25-26 marzo 17 _1_ Scheda iscriz_PRESIDENZE_DIOC_25-26 marzo LETTERA_CONVOCAZIONE_PRESIDENZE_DIOC_25-26marzo LETTERA_ACR assemblea elettiva marzo

Seminario. «Che scuola vogliamo?»

Un’occasione per mettere a fuoco e riflettere sulle principali scelte contenute nella proposta del Governo denominata “La buona scuola”, ancora in discussione al Parlamento: è l’obiettivo del seminario «Che scuola vogliamo?» promosso dall’Istituto “V. Bachelet” e dal Settore Giovani di Ac, venerdì 19 giugno, alle ore 16.00 presso la Domus Mariae (Roma, via Aurelia 481). Partecipano: Carmela Palumbo, Alessandro Pajno, Luisa Ribolzi, Anna Poggi, Gioele Anni, Elisabetta Brugé, Gian Candido De Martin. (È gradita conferma di partecipazione) leggi tutto Powered by WPeMatico

«Mai più la guerra, no a scontri di civiltà»

di Fabio Zavattaro – Non ci sono più i cartelli con la scritta campo minato all’uscita dall’aeroporto. Le case non sono più scheletri bruciati, con i segni dei colpi di granate, cannoni, raffiche di mitragliatrici. È la prima cosa che salta agli occhi arrivando a Sarajevo. Diciotto anni dopo il viaggio di Giovanni Paolo II, venti anni dalla fine della guerra, con la firma degli accordi di pace – stipulati tra il primo e il 21 novembre 1995 nella base Wright-Patterson dell’Air Force a Dayton, nello stato americano dell’Ohio – e del Protocollo di Parigi, 14 dicembre 1995, la città sembra aver quasi cancellato del tutto i segni di un conflitto costato almeno 12 mila morti e 56 mila feriti nell’assedio della città, durato 4 anni, il più lungo in epoca moderna. È finita la guerra ma ti senti subito dire che non è ancora pace. Sui muri dei palazzi ancora segni della guerra, come le “rose” sulle strade, piccoli avvallamenti segnati in rosso dove una bomba ha portato morte e sofferenza. Anche davanti la cattedrale, dove c’è la statua di Giovanni Paolo II, ricordo della visita compiuta il 12 e 13 aprile 1997. Se per Giovanni Paolo II Sarajevo era dramma, problema e sfida per l’Europa delle tante guerre, per di più una città e una nazione al centro di tutti i conflitti dal 1914 ad oggi – è a Sarajevo che scoppia la scintilla del primo conflitto mondiale, l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando del nazionalista serbo Gavrilo Princip – per Papa Francesco la città rappresenta il messaggio da offrire all’Europa di oggi, e al mondo: partire dalle periferie, dai luoghi segnati dalla sofferenza, per costruire un futuro di vera pace, aperto al dialogo tra culture, popoli e fedi diverse. Così non è un caso che Francesco incontrando i giovani – un Papa “scatenato” gli dirà in aereo davanti ai giornalisti padre Federico Lombardi – parli di loro come “fiori di primavera del dopoguerra”, invitandoli a fare la pace a lavorare per la pace. Il mondo non ha bisogno di “predicatori” ma di costruttori di pace, aveva detto all’omelia pronunciata nello stadio Kosevo. “Tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera”, ma fare la pace è opera della giustizia, “è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia”. All’aeroporto il Papa è accolto dal membro croato della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina – la presidenza della repubblica, con gli accordi di Dayton, è retta da tre persone in rappresentanza delle tre etnie, musulmana, serba e croata, che governano a rotazione per otto mesi – e dal cardinale Vinko Puljic; al palazzo presidenziale è il rappresentante serbo Mladan Ivanic a salutare Francesco, dicendo: “siamo il punto di unione e di divisione dell’Europa e dell’Asia, dell’Oriente e dell’Occidente; il luogo di incontro delle correnti spirituali che hanno avuto un forte influsso sullo spirito dell’Europa, il luogo delle diversità delle civiltà, degli influssi culturali e politici, dei grandi sconvolgimenti storici”. Dopo Tirana, un’altra periferia europea, e il Parlamento europeo di Strasburgo, la visita di Francesco a Sarajevo, il terzo viaggio in Europa, è occasione per inserirsi in questo crocevia di tensioni, culture, religioni e popoli diversi – la Gerusalemme europea, l’aveva chiamata Giovanni Paolo II – per guardare alle ferite ancora sanguinanti del conflitto, con una popolazione cattolica dimezzata in un quarto di secolo; per parlare di una pace che produce, nella comunità croata, sentimenti di ingiustizia; di una situazione economica difficilissima, con un alto tasso di disoccupazione soprattutto giovanile. Nei suoi discorsi, nella sua omelia, il Papa chiede di “costruire sempre nuovi ponti”, di scoprire “le ricchezze di ognuno” e di “guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti”. È parte integrante dell’Europa la Bosnia Erzegovina, dice ancora Francesco. Così come a Tirana, il Papa ricorda al vecchio continente che le nazioni che bussano alle porte dell’Unione devono essere accolte. Perché i successi e i drammi di queste nazioni “si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei” e sono un serio monito “a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili”. È dunque necessario un percorso che “purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire”, per questo chiede Francesco di opporsi “alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate”. No alle “urla fanatiche di odio” afferma ancora, mentre parla di effettiva uguaglianza di tutti i cittadini” e dice: il popolo che dimentica la memoria non ha futuro. No ancora a questa sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Per Francesco si percepisce “un clima di guerra”, e c’è chi questo clima “vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi”. La guerra, ricorda, “significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate”. In realtà il cosiddetto nemico “ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima”. Tutto questo Sarajevo e la Bosnia lo sanno bene. Per questo ripete il grido: “mai più la guerra”. Ma è con i giovani che Francesco spinge di più sull’acceleratore, se così possiamo dire. La sua preoccupazione è che la generazione, la prima del dopoguerra – “fiori di primavera del dopoguerra” li chiama – non sia capace di voltare pagina e di costruire, nella pace, una convivenza tra realtà diverse. Così, lasciando da parte il testo scritto e rispondendo a braccio, come si dice, alle domande che gli sono rivolte, parla di valori veri, che preparano alla vita; di “fantasia che uccide l’anima” pensando ad alcuni programmi delle televisioni dove il messaggio è tutt’altro che positivo. Parla ancora di pace, da costruire assieme; di ideali. Giovani nei quali coglie gioia, amore; giovani che “vogliono andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci fanno nemici gli uni gli altri”. In

Fiac. Un minuto per la pace

A un anno dall’incontro in Vaticano tra Papa Francesco, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, un’iniziativa promossa dal Forum Internazionale di Azione Cattolica rilancia l’invocazione per la pace in tutto il mondo promuovendo per lunedì 8 giugno, alle ore 13, un minuto di sosta, silenzio e, per chi crede, di preghiera. Oltre all’Italia, adesioni sono giunte da tutto il mondo. Il servizio del Sir. leggi tutto Powered by WPeMatico

Ac. Custodi di un legame

di Monica Del Vecchio* – Le nuove proposte dell’Area della Promozione Ac nella linea del guardare per conoscere, impegnarsi, osare… Legame e sostegno alle realtà locali. Nasce inoltre What’s up?, la newsletter che i presidenti parrocchiali di Ac riceveranno con cadenza trimestrale. Uno strumento formativo e informativo che intende aiutare a creare e sostenere la consapevolezza dell’associazione e della sua vita ai diversi livelli e ridire l’Abc dell’Azione Cattolica senza retorica nel contesto ecclesiale di oggi. leggi tutto Powered by WPeMatico

Tra astensionismo e crisi delle Regioni

di Andrea Michieli – Da poche ore si è conclusa la festa della Repubblica, eppure, guardando alle recenti elezioni amministrative regionali, http://www.viagragenericoes24.com/viagra-comprar c’è il sospetto che il festeggiato sia l’unico scontento. Il popolo, a giudicare dall’astensionismo, non festeggia. La Repubblica nacque sotto il segno della democrazia di massa per allargare la partecipazione di tutti i cittadini; nacque sotto il segno delle autonomie e del pluralismo degli ordinamenti. Democrazia popolare e autonomie sono le vere sconfitte delle elezioni. leggi tutto Powered by WPeMatico

Misericordia, il tempo opportuno

Intervista con Carlo Molari di Gianni Di Santo – Francesco ha voluto dedicare alla misericordia l’Anno giubilare straordinario. «Per coloro che hanno fede in Dio il bene è più forte del male – spiega il teologo Carlo Molari a Segno, il periodico dell’Ac -. Ma perché il bene prevalga sulla terra deve diventare azione umana, gesto concreto di creature. Ecco perché penso che l’indizione» dell’anno santo «sia un’intuizione geniale. Tempi nuovi di speranza e di pace si prospettano dinanzi a noi sotto la luce di questa grazia». leggi tutto Powered by WPeMatico

Ina Soldato. Donna di Ac

di Rosario Fabio Oliveri – Laica nel mondo e per il mondo, donna di profonda spiritualità e di preghiera, Ina Soldato ha dimostrato con la sua vita come nel mutare dei tempi e delle situazioni è possibile portare la novità del Vangelo nel cuore della società. Lascia un’eredita di servizio al alla Chiesa che ne fa esempio di santità laicale. leggi tutto Powered by WPeMatico

Una ricchezza chiamata migranti

di Antonio Martino – Senza il contributo di chi viene dall’estero alcuni settori dell’economia sprofonderebbero nella crisi e anche per questo è ancor più necessaria una politica che interpreti in positivo le migrazioni. È questa la lettura di fondo che accompagna i dati del XXIV Rapporto Nazionale Caritas e Migrantes, presentato a Expo Milano 2015 nel corso del convegno “Migranti e Cibo, dallo sfruttamento lavorativo all’imprenditoria etnica”. Dall’esperienza maturata in tanti anni di servizio, Caritas e Migrantes hanno voluto raccontare quanto l’Italia e gli italiani ricevono dai migranti che hanno scelto o continuano a scegliere il territorio italiano come meta di emigrazione; descrivere i volti delle persone che si incontrano, dei nuovi cittadini che, pur non essendo italiani, contribuiscono attivamente a sostenere l’Italia ancora in difficoltà economiche e culturali. A presentare i dati, il presidente di Caritas Italiana, cardinal Francesco Montenegro e il direttore don Francesco Soddu, e monsignor Nunzio Galantino, Segretario generale della Cei. Tutti concordi nel sottolineare la necessità di attirare l’attenzione sul fatto che l’immigrazione non solo è un’emergenza, ma anche una ricchezza. «L’Italia è un crocevia di culture e la parte non italiana è indispensabile per i nostri territori. Più volte l’Europa è stata chiamata ai propri doveri e più che mai oggi parlare di immigrazione significa parlare di cittadini che sono in Italia da 30 anni, di altri che sono nati in Italia, di coppie miste e di migranti congiunti», ha sottolineato il card. Montenegro. Per mons. Galantino: «Il tema dell’immigrazione non deve essere liquidato a una lettura a compartimenti stagni, ma bisogna partire dalla carne dei poveri per promuovere il nuovo umanesimo contro la cultura dello scarto». In tal senso, «La Chiesa, con Caritas Italiana, si sente chiamata con urgenza ad offrire il proprio contributo. Essere a Expo serve a ricordare che c’è gente che come noi è venuta a parlare anche del fenomeno dei popoli migranti, che devono essere visti come un’occasione positiva di crescita». Il Rapporto Immigrazione descrive la situazione della mobilità internazionale e nazionale, per poi soffermarsi in particolare su due argomenti: il cibo come causa delle migrazioni e il cibo come occasione di sviluppo, guardando il migrante come persona attiva e propositiva in grado di dare e contribuire allo sviluppo del Paese. «Siamo qui ad Expo perché vogliamo offrire stili di vita equilibrati, pensando il cibo non soltanto come alimento del corpo ma anche come nutrimento dell’anima, attraverso la condivisione e la solidarietà»: così don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana. Gli fa ecco don Gian Carlo Perego, direttore generale di Migrantes nel sottolineare che «l’incrocio tra cibo e sviluppo, portato anche dai migranti, è un’occasione per mettere al centro “carità e verità”: la fame nel mondo ci aiuta a riflettere sul cibo come una risorsa da non sprecare e da condividere in modo significativo». Alcuni dati in sintesi: ad inizio 2014, si registrano in Italia 60.782.668 abitanti, di cui 4.922.085 stranieri, che rappresentano l’8,1% della popolazione totale. Questi ultimi, nel corso del 2014, hanno prodotto l’8,8% della ricchezza nazionale, pari a oltre 123 miliardi di euro. Numeri su cui riflettere e che ci dicono quanto la storia dell’immigrazione in Italia non sia solo caratterizzata da fenomeni emergenziali e negativi. Almeno negli ultimi trenta/quaranta’anni, la nostra storia nazionale è stata scritta insieme ai migranti, divenuti ormai parte integrante e strutturale dei territori, demograficamente attiva, economicamente produttiva, culturalmente vivace, e religiosamente significativa, indispensabile al futuro di un Paese altrimenti destinato a spegnersi inesorabilmente. Powered by WPeMatico

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